Beatrice Cenci
Forse nessuna vicenda storica, per quanto importante essa sia stata, ha segnato il territorio di cui stiamo trattando, come il giallo di Beatrice Cenci.
La tragedia dei Cenci rimane legata al nome di Petrella in modo tragico, ma tale da portare questo nome al di fuori degli angusti confini della regione equicola. E per Beatrice Cenci, per ricercare le memorie di questa vicenda, il visitatore raggiunge, spesso da lontano, Petrella e si arrampica sui resti della sua Rocca, quasi che quegli speroni rocciosi, quel denti di muri diroccati e cadenti, tra cui tante vicende politiche sono passate, evochino solo ed unicamente la mesta figura della giovane patrizia romana, il cui coraggio e la cui determinazione giunsero al parricidio e, con l’estremo supplizio a consegnarsi alla Storia in modo da divenire un mito, una leggenda, un personaggio letterario che ai nostri giorni può anche significare il simbolo di un riscatto della condizione femminile.
Eppure di Beatrice Cenci a Petrella non resta che la memoria mitizzata, ma non una via, non un ritratto, che evochi il personaggio: solo la sua vicenda trasformata da leggende romantiche, spesso piegate a volontà di autori alla ricerca del torbido ad ogni costo.
Soltanto la Rocca, che fu dei Mareri, dei Colonna e dei Barberini, porta, ormai consolidato, il nome di Rocca Cenci, mentre la via che ad essa conduce, seguendo il percorso più rapido e spedito, costeggiando le mura orientali della Petrella, ripete il toponimo. Per il resto nulla.
La Basilica di Santa Maria, evoca meno il luogo dove Francesco Cenci fu frettolosamente sepolto e più le memorie religiose di un popolo dall’origine del suo insediamento in questo ameno sito a guardia del Salto. Eppure non si può parlare della Storia di Petrella Salto, senza rievocare la vicenda dei Cenci, senza inserirla nel percorso secolare di questa Storia.
Ma la vicenda è anche leggenda, è anche mito, anche letteratura e ad essa il nome di Petrella di Cicoli, castello dei Colonna nel Regno di Napoli, si lega in modo indissolubile e profondo.
Dopo gli studi del Rinieri, del Ricci e, soprattutto, dopo il Convegno di studi, tenuto a Petrella nel 1982, poco resta ancora da scoprire sulla storia di Beatrice Cenci, ricostruita a fatica, ma con chiarezza, sfrondando i fatti storici, cosè come essi emergono dagli atti del processo, dalle numerose incrostazioni romanzesche e leggendarie.
Nato a Roma nel 1549, da Cristoforo, Monsignore della Camera Apostolica e da Beatrice Arias, Francesco Cenci aveva ereditato dal padre un’enorme ricchezza acquistata più o meno lecitamente dai maneggi del padre. Per dare una parvenza di antica nobiltà alla loro famiglia, i Cenci facevano risalire la loro origine a quel Cencio Savelli che aveva imprigionato Gregorio VII durante la Messa di Mezzanotte di Natale in Santa Maria Maggiore e che lo aveva dovuto liberare per la reazione del popolo a favore di quel santo Pontefice.
Le stesse origini a cui la famiglia faceva risalire la sua nobiltà erano ben adatte al carattere del personaggio Francesco.
Uomo focoso, sensuale e violento, in giovane età aveva sposato Ersilla Santacroce, dalla quale aveva avuto ben dodici figli, dei quali avevano raggiunto la giovinezza Giacomo, Rocco, Cristoforo, Antonina, Beatrice, Bernardo e Paolo.
Morta la prima moglie di parto con la nascita dell’ultimo figlio, Francesco aveva sposato in seconde nozze Lucrezia Petroni, vedova Velli.
Di altri figli naturali, si ha notizia di Lavinia, figlia prediletta di Francesco e di Caterinetta, nata da una serva ed ancora in tenera età all’epoca della tragedia che colpì la famiglia.
La vita di Francesco Cenci a Roma è costellata di violenze, delitti, misfatti, turpitudini, liti con i figli, tutti spesso culminati in processi con severe pene pecuniarie che intaccavano il patrimonio di famiglia e che mettevano Francesco Cenci ancor più in contrasto con i figli maggiori e, specialmente, con Giacomo, il primogenito che aveva sposato, senza l’autorizzazione del padre, Ludovica Velli. Nè i figli erano per carattere di meno del padre. Note le violenze di Rocco e di Cristoforo, culminate per entrambi in modo tragico.
Sposata Antonina con Luzio Savelli, signore di Forano, Francesco Cenci, dopo un terribile processo per "vitio nefando" in cui rischiò il rogo e che pare gli fosse stato intentato dalle mene di suo figlio Giacomo, reput? bene cambiare aria e fu per questo che si fece "prestare" da Marzio Colonna la Rocca di Petrella. Tale scelta appare giustificata, soprattutto dalla posizione geografica della stessa. E vero che egli possedeva in Abruzzo il feudo di Assergi, ma la Rocca di Petrella gli avrebbe permesso di stare comodamente fuori dalla portata della giustizia dello Stato Pontificio, pur senza perdere d’occhio gli affari di Roma, che da Petrella era raggiungibile dopo un giorno di cammino attraverso la direttrice Varco Sabino, Vallecupola, Stipes, Monteleone Sabino, Nerola, Monterotondo.
Francesco Cenci lascia Roma con la seconda moglie Lucrezia, la figlia Beatrice ed alcuni servitori, i primi di aprile del 1595.
Giunti a Petrella furono accolti da Olimpio Calvetti, castellano dei Colonna e che, per conto di Marzio provvedeva alla cura dei feudi equicoli della famiglia romana.
Il Calvetti accompagnò i Cenci nella loro nuova dimora, dove occuparono il piano nobile, quello delle "camere pente", cioè delle stanze affrescate.
La nuova dimora dovette sembrare subito una prigione per le due donne che Francesco aveva invitato a seguirlo solo con la scusa di un viaggio piacevole verso i suoi feudi d’Abruzzo.
La realtà messa in atto dal Cenci fu, invece, molto diversa.
Timoroso che un matrimonio di Beatrice lo avesse costretto all’esborso di una cospicua dote, nonchè del fatto che ella avrebbe potuto diventare a Roma complice delle azioni dei fratelli contro di lui, preferì semplicemente recluderla nella Rocca di Petrella, insieme alla matrigna.
Comunque dovette giungere gradito alle due donne, l’arrivo di Curzio Velli figlio di primo letto di Lucrezia, invitato dallo stesso Francesco.
Ma la presenza del giovinetto alla Rocca dovette durare poco.
La presenza del figliastro suscitò nel Cenci voglie represse, tanto che, durante una battuta di caccia, tentò di abusare di lui, Curzio si salvò rifugiandosi alla Rocca, dove la madre provvide a rinviare a Roma il figlio procurandogli un cavallo.
Da ciò nacque una furibonda lite tra Lucrezia e Francesco, che la sfregiò con un colpo di sperone.
È l’unico episodio in cui Lucrezia, sempre arrendevole, scialba, pavida e prona al voleri del marito, mostra coraggio, il coraggio presente in qualsiasi madre che vuol difendere il suo figlio.
Subito dopo Francesco tornò a Roma lasciando le donne a Petrella, libere di girare per la Rocca. A Roma appare ormai chiara la rottura con il figlio Giacomo.
Compagno di viaggio del Cenci fu un giovane di circa trent’anni, Marzio da Fioran, detto il Catalano, di mestiere calderaro, sposato con una certa Porzia, anch’essa di Petrella.
La libertà di Beatrice e di Lucrezia alla Rocca era relativa. Potevano essere avvicinate solo da un vecchio servitore, Santi de Pompa. Neppure per la Messa era loro consentita l’uscita dalla turrita dimora. Francesco aveva provveduto che l’Arciprete, Don Marzio Tomassini, e due canonici di S. Maria della Petrella, Don Francesco Scossa e Don Domenico Salviati, a turno celebrassero la Messa nella cappella della Rocca, individuabile con la cappella di San Nicola, più volte citata in atti notarili precedenti.
Francesco tornò a Petrella il 13 Aprile del 1596, Venerdì Santo. Appena giunto alla Rocca all’improvviso prese decisione di cambiare appartamento. Infatti, occupò subito il piano superiore della Rocca, abitato fino ad allora dal Castellano Olimpio e dalla sua famiglia e cioè dalla moglie Plautilla e dai figlioletti Prospero e Vittoria.
Fu, forse, il sospetto di quello che sarebbe potuto nascere - e che poi nacque - tra Olimpio e Beatrice a fargli prendere questa decisione.
Infatti non fu difficile ad Olimpio, uomo sulla quarantina, ma piuttosto aitante, attirare l’attenzione della giovane Cenci che egli poteva comodamente contattare sulla "piazza merlata" della Rocca.
Ora, Francesco, prendendo l’appartamento di sopra, isolava le due donne, custodite dal vecchio Santi de Pompa e toglieva loro la possibilità di qualsiasi contatto esterno.
Certamente questa vita dovette ripugnare alla giovane Beatrice, abituata a quella dell’alta societ? della Roma festaiola, frivola e vivace di fine Cinquecento.
Isolate dal mondo le donne, Francesco tornò di nuovo a Roma, ancora una volta accompagnato dal Catalano. Difficilissimo fu per lui trovare la servitù per le due donne recluse.
A Petrella non fu trovato nessuno disponibile a condividere quella involontaria clausura. Abituati da tempo ad essere piuttosto liberi da ogni gravame, grazie ai privilegi ottenuti dai Mareri in poi, i Petrellani ignorano quasi totalmente la presenza di questi "ospiti" romani del loro conte e gli avvenimenti successivi metteranno in forte risalto questo comportamento, sfuggito a molti studiosi della vicenda, forse perché non inseriti nell’ambiente locale. Due serve, infine, furono spedite dal Cenci da Roma alla Petrella, convinte da grandi quanto fatue promesse. Una di queste fu la senese Chelidonia Lorenzini, l’altra Girolama da Capranica, vedova, dal carattere vivacissimo e che denotava una certa intelligenza pratica, proprio quanto l’altra era noiosamente querula e lamentosa. Le due donne, anziché l’Eden descritto da Francesco, trovarono ad attenderle la condivisione della clausura imposta alle due Cenci. Francesco, intanto, a Roma si intricava sempre più nelle controversie con i figli, che contribuivano a renderlo sempre più indebitato, sempre più insicuro e sospettoso. Alloggiato all’ospedale di San Giacono degli Incurabili, appariva in contatto solo con la figlia naturale Lavinia, sposata ad Emilio Morea. In Beatrice, intanto, il desiderio di rompere la sua prigionia diventa sempre più impellente. Fu per questo che cominciò a rivolgersi a Marzio Catalano, tornato a Petrella con un cavallo vendutogli da Francesco Cenci.
La giovane tenta di illudere con promesse il Catalano, invitandolo ad aiutarla a fuggire, ma costui non abboccò alle lusinghe. Sapeva la enorme distinzione sociale che lo divideva da Beatrice, conosceva la reazione di Francesco e la sua ira. Si rese solo disponibile a portare a Roma qualche missiva di Beatrice ai fratelli ed allo zio materno Marcello Santacroce.
La giovane, infatti, con lettere si rivolge ai fratelli Giacomo e Cristoforo ed allo zio. Quest’ultimo, ricevuta la lettera, in piena buona fede la mostrò a Francesco Cenci, forse per spingerlo a risolvere il problema di Beatrice che chiedeva di essere maritata o monacata.
Ma la reazione di Francesco fu violentissima.
Marzio Catalano, colpevole di essersi fatto latore della missiva, fu fatto incarcerare per tre giorni. Quindi, nonostante la neve caduta abbondantemente, tornò a Petrella il 13 Dicembre 1597 e, giunto alla Rocca colpì selvaggiamente la figlia con un nervo di bue. Quindi, per tre giorni la isolò in una stanza tenendola a solo pane ed acqua. Fu questo episodio, che, aggiunto alla sua condizione di reclusa, fece maturare in Beatrice il parricidio.
Desiderio di vendetta, sostenuto da un odio represso e mai sfogato, fece di una nobile intorno ai vent’anni una feroce e decisa parricida, lucida nel predisporre il tutto e nel coinvolgere alla sua causa i complici.
Da questo momento la famiglia Cenci vive nella Rocca di Petrella, interamente "ristretta" nell’ultimo piano del maniero.
Francesco si adatta a dormire nella stessa stanza in cui dormiva anche Beatrice, tanto che Lucrezia pensò bene di separare con tendaggi il letto coniugale da quello della ragazza.
Intanto le due serve premevano per licenziarsi da un tale padrone. Dopo molte insistenze, dopo il Natale del 1597 parte Girolama prima e Chelidonia poi, inseguite dagli improperi di Francesco. A Petrella non fu possibile trovare le sostitute. Si trovò solo una ragazzina di circa nove anni per far compagnia alle due donne. Da Roma, invece, fu trovato un vecchio alto e magro, di origine veneta, Giorgio Vandré, strano nel suo vestito sempre di color turchino. La vita di Francesco Cenci alla Rocca scorre piuttosto monotona. Si alzava tardi e, accompagnato dalle donne, si recava ad ascoltare la Messa nella cappella.
Dopo la Messa un giro a cavallo o in montagna, o per le vallate intorno a Petrella, oppure seduto allo scrittolo a fare i conti. Unica sua amicizia Olimpio Calvetti, al quale riservava anche qualcosa di buono che si cucinava. Beatrice curava l’argenteria e la biancheria e, talvolta, serviva il padre a tavola. Egli, sovente usava consumare il cibo in camera da letto, con la moglie come sua unica commensale.
Una vita quasi tranquilla, quella dei Cenci alla Rocca, che nulla avrebbe fatto presagire quello che si stava per consumare.
Beatrice restava piuttosto isolata dal padre e dalla stessa matrigna, ciò senza dubbio, favorì i suoi contatti ed incontri con Olimpio Calvetti, più lunghi quando Francesco era assente. Nè, d’altronde, la presenza di Lucrezia creava nei due problemi di pudore! Ma la cosa non dovette sfuggire alla servitù e le critiche per i contatti continui di Olimpio con Beatrice si diffusero tra la gente di Petrella.
Il tutto continuò senza avvenimenti notevoli fino al Giugno del 1598, quando Santi de Pompa, fedele servitore di Assergi, preferì fuggire da un servizio così pesante. Già qualche tempo prima Giorgio Vandré, stanco di un servizio faticoso che gli imponeva continui andirivieni dalla Rocca all’abitato di Petrella, si era licenziato.
L’assassinio di Cristoforo Cenci da parte di Paolo Bruno, raggiunse i Cenci in questo periodo, quasi preannuncio funesto di maggiori tragedie.
Fu proprio in questo inizio dell’estate che una banda di briganti attraversò il Cicolano. Era una banda piuttosto nutrita, capeggiata da Domenico Scutorusso e che da Cantalice si spostava verso Marcetelli, lungo la direttrice Capradosso-Teglieto. Come si nota, la banda evita accuratamente di avvicinarsi alla Petrella. Evidentemente le fortificazioni possenti, nonché la presenza di armati, spingeva i fuorilegge a tenersi alla larga. Comunque gli stessi abitanti di Capradosso mostravano una coraggiosa volontà di resistenza, tanto che, barricatisi nel loro paese, si mostrarono decisi a difendersi da soli, pur in assenza di qualsiasi azione da parte del capitano regio De Sanctis che non compare affatto.
Chi, ’invece, intervenne fu Olimpio Calvetti che, dopo aver parlamentato con i briganti, fece in modo che costoro si allontanassero da Capradosso.
Dopo questo frangente, indicativo di un certo stato di cose nell’amministrazione dei feudi ai confini del Regno, giungono alla Petrella Bernardo e Paolo, ultimi nati di Francesco.
Forse la fine tragica di Cristoforo, spinge il Cenci a sottrarre i due figli minori dall’ambiente romano e dalla influenza di Giacomo, sempre ostile verso il padre. Da questo momento il Cenci mostra la sua volontà di tenere unita la sua famiglia. A tavola siedono tutti insieme, Beatrice compresa. Ma i due giovani non gradivano l’esilio dorato e tranquillo della Petrella.
A parte l’opera di Giacomo su di loro che senza dubbio li aveva mal predisposti verso il padre, certamente i due giovani avranno accettato molto malvolentieri di abbandonare la vita gaudente di Roma.
Ma questa nuova presenza doveva dar fastidio ad un’altra persona: Olimpio, certamente non avrà visto di buon occhio la presenza dei due, in grado di accorgersi della sua tresca amorosa con Beatrice. E, chiaramente, fu anche per questo che l’attivo castellano organizzò la fuga dei due giovani da Petrella. Autorizzati dal padre a fare una battuta di caccia, i due, con l’aiuto attivo di Olimpio, trovarono fuori porta cavallo ed accompagnatore, un tal giovane petrellano detto Scocchino. Quando Francesco si accorse della fuga dei figli, ormai i due erano lontani. Ogni tentativo di inseguimento restò senza risultato e fu del tutto inutile. Fu proprio nel periodo che Bernardo e Paolo erano a Petrella che Beatrice tento un modo di eliminare fisicamente Francesco. Insieme ad Olimpio incaricò il Catalano di assoldare dei briganti residenti a Marcetelli per far compiere loro il delitto.
Ma, forse, nè il Catalano ebbe il coraggio di portare a compimento l’iniziativa, nè gli stessi briganti se la sentirono di uccidere un amico del Colonna, che avrebbe scatenato contro di loro la reazione degli eserciti spagnolo e pontificio. Fallito questo tentativo Olimpio e Beatrice dovranno escogitare altri mezzi per raggiungere il fine che si erano proposto.
Ma, quasi all’improvviso, giunge ad Olimpio l’ordine di Marzio Colonna di abbandonare la Rocca e di trasferirsi al palazzo di Porta Orientale.
Il trasferimento può essere spiegato dalla volontà di Marzio Colonna di evitare i pettegolezzi che, come abbiamo visto, già giravano per la Petrella e che dovevano essere noti al signore che, spesso veniva al suo feudo, abitando, insieme ai frati, il palazzo San Rocco, dove lo stesso Francesco Cenci si recava ad ossequiarlo.
Ma la decisione non bastò certamente ad interrompere la relazione. Olimpio, con l’ausilio di due scale entrava in Rocca e, attraverso una finestra della prigione della stessa, ugualmente raggiungeva Beatrice.
Quanto mai decisa a sopprimere il padre, costei passò a vie di fatto.
Dopo un tentativo fallito di far passare all’azione il Catalano, Beatrice mandò a Roma Olimpio perché avesse da Giacomo il benestare al parricidio. Con Giacomo Olimpio concordò di avvelenare Francesco. Beatrice avrebbe dovuto mettere il veleno nel vino.
Ma il sospetto di Francesco, il fatto che costui faceva assaggiare alla figlia il cibo e le bevande che gli venivano servite, rese vano anche questo tentativo. Allora si dovettero escogitare altri mezzi.
Francesco, assillato dalla gotta, passava le giornate per lo più a letto.
Dei servi era rimasto solo il vecchio Giorgio, convinto dal Cenci a tornare a Petrella. Il momento sembrava propizio. Il 6 Settembre Marzio Catalano ed Olimpio entrarono nella Rocca, nel modo solito che lo stesso Olimpio usava per i suoi incontri con Beatrice, scavalcando la muraglia dell’ortaccio dalla zona dei "Tufilli" ancora visibile. Marzio alloggi? nella stanza che era stata di Santi de Pompa, mentre Olimpio dormi con Beatrice.
L’assenza del marito dovette fortemente insospettire Plautilla che, spinta sicuramente da gelosia, sali verso la Rocca e si fermò sui massi, da dove si poteva sbirciare all’interno del maniero. Detti massi sono tuttora visibili di fronte alla cappella dedicata a S. Antonio da Padova e detta "S. Antonillu".
Olimpio non tardò a scorgere la moglie e la minacciò con un gesto della mano.
Tornata a casa, Plautilla fu raggiunta da Olimpio che selvaggiamente la percosse. Anche Marzio era uscito dalla Rocca e si era fatto vedere in giro. Marzio non é deciso a partecipare al delitto: ha paura e confida i suoi timori a Lucrezia, anch’essa pavida ed indecisa e per questo, desiderosa di tirarsi fuori dal progettato omicidio impedendolo.
Ma ormai il meccanismo del delitto é avviato e Beatrice ne é il motore inarrestabile. La sera del 7 Settembre i sicari rientrano in Rocca. Il mattino dopo si svegliano di buonora, ma Lucrezia impedisce il compimento del progetto.
È l’8 Settembre, Natività della Vergine, e le campane della Petrella annunciano la solennità. Il delitto é rinviato alla sera, ma Olimpio, preso da una violenta tosse é costretto a rinunciare, provocando le ire violente di Beatrice, che vede sfumare il suo progetto.
Olimpio e Marzio tornano ancora una volta a casa.
Ma la mattina dopo, Olimpio, svegliatosi presto, chiama Marzio e lo conduce con se alla Rocca.
Beatrice allontanato Giorgio, che nel frattempo era stato convinto da Francesco a tornare al suo servizio, inviandolo a fare la spesa in paese, accompagna i due nella stanza dove Francesco dormiva fino a tarda ora.
Rapidamente Olimpio gli é sopra e lo percuote con un martello alla tempia, mentre Marzio gli dà ripetuti colpi alle ginocchia con uno stenterello. Il delitto é presto consumato. Dalle ferite di Francesco il sangue, uscendo a fiotti dalla ferita, imbratta il letto. Olimpio, intanto, tenta di rompere il pavimento di un mignano, dove l’ucciso usava recarsi per i suoi bisogni fisici. Ma la fretta gli fa commettere gravi errori, Il pavimento resiste ed allora é costretto a buttar giù il parapetto. Da qui, con l’aiuto delle donne, getta nell’ortaccio il cadavere, rivestito per l’occasione con un ferraiolo scuro. Il corpo senza vita si abbatte su un sambuco. Nel frattempo, tornato Giorgio dalla spesa, fu informato da Beatrice dell’accaduto, quindi le donne, dalla finestra, cominciarono a gridare. Intanto i sicari erano tornati a casa. Tutta Petrella fu messa a soqquadro dalla notizia. Con in testa i preti di Santa Maria, l’intera popolazione salì alla Rocca. Lucrezia, intanto, nel tentativo maldestro di nascondere le prove, non fa altro che spargerle dappertutto. Il cadavere viene portato a Santa Maria della Petrella e li fatto seppellire in fretta da Olimpio, senza che i suoi partecipino al funerale. Questo fatto, oltre che stupire i Petrellani, contribuì a confermare in loro i sospetti che intanto andavano facendosi largo nelle loro menti.
Due giorni dopo il delitto, nel pomeriggio, giungono a Petrella Giacomo, Bernardo e Paolo Cenci, accompagnati dal cugino Cesare Cenci e da alcuni servitori. Nessuna visita alla tomba del Cenci, nessun segno di dolore o di lutto.
Trattenutisi un giorno alla Rocca per sistemare le cose, il giorno successivo i Cenci lasciano Petrella, accompagnati anche da Marzio e da Olimpio, il quale, giunto a Roma prende alloggio proprio in casa Cenci con la figlioletta Vittoria che aveva condotto con sé.
Lungo il viaggio, appena fuori le mura di Petrella, in basso, una breve sosta di Giacomo, per far visita ad una chiesa davanti alla quale lascia il cavallo.
E una chiesa chiaramente sita lungo la strada che conduce in basso, quindi si tratta di Santa Maria Apparì, e non di San Rocco, come sostiene il Ricci. Giacomo sente il bisogno di dire un "Padre Nostro".
Ma, se la fuga di Petrella avrebbe dovuto far dimenticare il misfatto, non fece altro che aumentare le voci, i sospetti, che, anziché spegnersi nel tempo, giungono pure a Roma, dove già il 5 Novembre la giustizia avvia l’istruttoria sulla morte di Francesco.
Olimpio torna a Petrella il 18 Novembre e, nel tentativo di eliminare ogni prova, fa rimuovere la finestra della prigione e guastare interamente il pavimento del mignano. Ma la presenza di Olimpio a Petrella sarà breve.
L’arrivo di un commissario incaricato da Marzio Colonna di fare indagini lo spaventa. Consegnate le chiavi della Rocca al commissario, scappa.
Scappa anche Marzio Catalano che si rifugia a Poggio Vittiano.
La fuga dei due fu un’accusa manifesta. Il commissario, Biagio Querco, fa riesumare la testa del cadavere di Francesco e la fa esaminare, quindi parte.
Marzio Catalano torna a Petrella, ma deve di nuovo fuggire per l’arrivo di un auditore del Regio tribunale di Campagna d’Abruzzo, Carlo Tirone.
Dall’indagine del Tirone cominciano già ad uscire le prime novità: fu scoperta la via che Olimpio faceva per introdursi furtivamente alla Rocca, fu trovato il martello e convocato il Catalano, il quale, pero é già lontano, ad Ascrea.
Viene di nuovo esaminata la testa del Cenci e, dopo l’esame, viene tratto in arresto il Viceconte di Cicoli, colpevole di aver autorizzato la sepoltura, quindi viene emesso un bando contro Marzio Catalano, Olimpio Calvetti, Lucrezia, Beatrice, Giacomo e Bernardo Cenci.
In Regno il processo é iniziato ed i colpevoli sono già tutti individuati, cosa questa che sfugge, forse volutamente, a tutti coloro che hanno voluto ricostruire la storia della tragedia dei Cenci con scopi scandalistici e contro la giustizia pontificia. Il Catalano viene catturato con estrema facilità dalla polizia pontificia il 12 Gennaio 1599 e tradotto in carcere a Roma.
L’arresto del Catalano, le sue confessioni, provocano l’arresto di Beatrice, di Giacomo, di Lucrezia e di Bernardo. il processo si prolunga fino al Settembre del 1599 e appare assai complesso, soprattutto per la resistenza di Beatrice.
Ma a poco a poco la verità viene fuori, non impedita dalla morte in carcere del Catalano, nè dalla uccisione di Olimpio consumata da sicari di Mario Guerra, cugino dei Cenci all’osteria di S. Susanna, nel pressi di Cantalice, territorio del Regno, in cui era ancora in vigore la taglia sulla testa di Olimpio, proprio per l’assassinio del Cenci.
Alla fine i Cenci devono confessare e la giustizia cadrà inesorabile su di loro. Giacomo, il mandante e l’organizzatore del delitto, é condannato ad essere attanagliato, poi "accoppato", quindi tagliato in pezzi ed esposto a Ponte S. Angelo. Beatrice e Lucrezia dovranno essere decapitate. A Bernardo la pena capitale é commutata nelle galere, dove resterà per sei anni.
La sentenza fu eseguita davanti a Castel S. Angelo il 11 Settembre del 1599.
Ma la giovane Beatrice divenne subito un mito
Non la decisa e feroce parricida, ma la vittima di un padre crudele e di un potere ingiusto, così fu vista dal popolo romano.
Ed ella divenne parte della tradizione romana e da Shelley a Sthendal, da Dumas a Moravia, diventerà un personaggio letterario in cui l’alone della leggenda si sovrappone alla verità storica, tanto che ancor oggi schiere di visitatori si arrampicano sui resti della Rocca della Petrella, oppure entrano nella basilica di S. Maria, alla ricerca dei segni e delle vestigia di una vicenda tragica, capace come non mai di eccitare la fantasia, di incuriosire e di affascinare, una vicenda che si é sovrapposta, ingigantendosi alla pur ricca Storia della Petrella, occupandone una grande parte e, nella mente popolare, occupandone uno spazio maggiore della sua vera entità.
(Testi tratti da "Petrella Salto e la sua Storia" di Henny Romanin).