La Signoria dei Mareri
Alla fine della dinastia normanna nel Regno di Sicilia, troviamo signore dei feudi posseduti nel Cicolano dal citato Rainaldo di Sinibaldo, Filippo di Mareri.
Quale relazione fosse intercorsa tra Filippo e Rainaldo di Sinibaldo non sappiamo, anche se una tradizione alimentata da molti biografi della Beata Filippa, ha sempre sostenuto Filippo, figlio di Rainaldo, anche se il Di Nicola, nel corso del I° Convegno di studi sulla Storia e le tradizioni popolari di Petrella Salto e Cicolano, ha dimostrato ampiamente l’infondatezza di tale tradizione, avanzando l’ipotesi che Filippo fosse fratello di Rainaldo morto senza figli maschi.
È con Filippo che inizia un processo di unificazione dei feudi del Cicolano, politica poi ampiamente realizzata da suo figlio Tommaso.
Filippo, infatti, si trovò ad essere signore di un territorio che si prestava ad essere ampliato sia verso l’alta valle del Salto, che verso la bassa.
Ma, innanzitutto, era necessario consolidare dal punto di vista strategico quanto ereditato e per questo sarebbe stato necessario assicurarsi il possesso di Petrella, di Staffoli e di Capradosso, impedendo al tempo stesso ogni tentativo dell’abbazia di San Salvatore Maggiore di tendersi sulla riva destra del Salto, dove, come abbiamo visto, la stessa possedeva già San Martino ed Offeio.
Infatti i domini dell’abbazia erano a guardia, con Rocca Vittiana e Poggio Vittiano, della riva sinistra del Salto e si ponevano proprio di fronte a Villa Casardita ed a Petrella.
Proprio nei pressi di Villa Casardita, Filippo Mareri usurpa i diritti sulla chiesa di San Pietro de Molito, rivendicati dall’abbazia benedettina di San Pietro in Ferentillo.
Pertanto Filippo Mareri imposta la sua politica ecclesiastica in chiave chiaramente filo-vescovile ed antimonastica.
Infatti le sue aspirazioni, volte a costituire nel Cicolano una forte entita feudale da porsi tra Rieti, San Salvatore Maggiore ed il territorio amiternino.
Tale. aspirazione doveva conciliarsi anche con l’esigenza del Regno Normanno-Svevo tendente a creare ai suoi confini forti entità fedeli al potere centrale.
Il governo di Filippo non dovette durare a lungo, dal momento che presto nelle fonti storiche, i principali attori divengono i figli Tommaso e Gentile.
È chiaro che Filippo non é più vivo già dal 1228, anno in cui i figli compiono la donazione di Villa Casardita alla loro sorella Filippa.
In un decreto regio di Carlo D’Angiò del 1266, che parla della divisione dei feudi tra Tommaso e Gentile, figli di Filippo Mareri, apprendiamo che costui era riuscito a riunire sotto i suoi domini i feudi da Capradosso a Torre di Taglio, inclusa Petrella . Pertanto già Filippo Mareri era riuscito a costituire nel Cicolano un dominio feudale non trascurabile.
Notevole fu per lui l’acquisto del "castrum" di Petrella, autosufficiente, come abbiamo visto, per il rifornimento idrico ed in posizione tale da bloccare la via del Cicolano, anche grazie al possesso, insieme a Staffoli, del fortilizio di Rocca del Salto, nella zona dove oggi é l’omonima Diga, e da rendere sicuro da qualsiasi pericolo militare l’intera entità feudale equicola.
È in questa situazione politica locale che si inserisce Filippa Mareri, figlia di Filippo, che compie una scelta di vita religiosa che, almeno all’inizio, molto dovette turbare i piani politici della famiglia.
Educata fin da giovane alla conoscenza delle Sacre scritture, nella Mareri ben presto maturò la volontà di darsi ad una vita interamente consacrata al servizio divino. Ed in zona non mancavano nè esempi nè modelli: proprio nei suoi aviti possessi, e precisamente a Poggiopoponesco, era nata Chelidonia, che, dopo una vita eremitica vissuta tra i monti di Subiaco si era spenta da un cinquantennio circondata da una fama conclamata di santità che certamente avrà spinto la giovane baronessa ad emularne le virtù.
Filippa, quindi, dopo un’esperienza religiosa trascorsa tra le mura del suo "castrum", anche per sfuggire alla proposta di nozze nobiliari, volte a farne strumento della politica familiare, vanamente osteggiata dal fratello Tommaso, verosimilmente già successo, insieme al fratello Gentile, al defunto padre Filippo, fugge da Mareri e si ritira nella grotta sopra Mareri e Piagge, già luogo di culto, come abbiamo visto, dedicato a San Nicola e di pertinenza monastica.
Il fatto che la grotta fosse luogo di culto, a parte le citazioni ricorrenti di un "Sanctus Nicolaus de grypta supra Marerio" dipendente dall’abbazia di San Lorenzo in Vallibus (Marmosedio) é stato da noi ampiamente dimostrato in altro lavoro, comunque é dimostrato chiaramente dal fatto che, una volta rifugiata nella grotta, consacratasi a Dio con il taglio dei capelli, nulla poté su di lei il fratello Tommaso, che, pertanto, fu costretto a cambiare tattica.
Infatti, l’ingresso di Filippa nella famiglia religiosa benedettina, avrebbe costituito per Tommaso Mareri una chiara contraddizione alla sua politica familiare che, come abbiamo visto, era chiaramente antimonastica.
Ma, evidentemente gli interessi politici della famiglia non dovettero tanto interessare la giovane Filippa, la quale desiderava solo uscire dal mondo per una scelta religiosa totale.
È da queste considerazioni, suffragate peraltro da serie documentazioni storiche, che abbiamo tratto spunto per contestare tutta una agiografia basata su leggende, che, pur se in buona fede tendente ad esaltare la figura di Filippa Mareri, di fatto ne falsavano la vita impedendo di mettere in luce l’eroismo di questa giovane del Medioevo che seppe resistere alle strumentalizzazioni poste in atto dalla politica di espansione della sua famiglia, che la stava per fare oggetto di decisioni altrui.
Ella, invece, volle essere se stessa ed affermare in pieno la sua autonomia di volontà. Certamente Tommaso restò scalzato nei suoi piani dalla ferma decisione della sorella non più soggetta alla sua tutela.
Ma non per questo si diede per vinto.
L’abile politico sa raggiungere i suoi scopi facendo pure buon viso a cattiva sorte. Tommaso doveva riparare almeno in parte, il vulnus che la scelta di Filippa inaspettatamente provocava nei suoi piani. E da buon politico corse ai ripari.
Nel 1228, insieme al fratello Gentile, nel "castrum" di Vallebona, dona alla sorella Filippa Villa Casardita e la chiesa di San Pietro de Molito, rinunciando al giuspatronato sulla stessa chiesa, che i Mareri, come abbiamo visto, avevano usurpato dai monaci, restituendo il luogo sacro al Vescovo di Rieti.
Il territorio di Casardita, allora dipendente da Vallebona, veniva staccato dalle dipendenze dello stesso feudo, per divenire feudo del nuovo Monastero.
L’estensione del territorio di Casardìta era modesta, confinante con i feudi di Vallebona, Petrella e Mareri, però con terreni fertili sulla riva destra del Salto. In esso i Mareri si riservavano di rifugiarsi solo in caso di necessità.
L’alienazione, evidentemente, dovette essere insignificante per la nuova entità feudale che i Mareri stavano costituendo nel Cicolano senza diritti sulla montagna, senza rocche nè fortilizi di difesa nessuna minaccia avrebbe mai potuto rappresentare per i futuri padroni del Cicolano.
Solo che il nuovo Monastero femminile non sarebbe affatto dovuto entrare nell’orbita dell’influenza del Monastero di San Salvatore Maggiore che, come abbiamo visto, confinava proprio al di là del Salto, con i feudi dei Mareri.
In questo caso l’abbazia avrebbe costituito una testa di ponte sul Salto capace di dividere con un cuneo posto tra Mareri e Petrella, i possessi dei baroni equicoli.
E sicuramente qui che va inserita la spiegazione della scelta della Regola francescana di Filippa e del Monastero da lei fondato, una scelta che, pur pienamente accettata dalla Fondatrice, fu atipica. Filippa, infatti, come abbadessa del Monastero da lei fondato, era anche baronessa di Casardita, ed il Francescanesimo, specie quello primitivo, rifuggiva dall’autorizzare perfino il possesso di luoghi di culto per i suoi seguaci.
Eppure é chiaro che la sua scelta si orientò sulle orme di Chiara d’Assisi, cosa che emerge da tutti i documenti.
In ciò bisogna però avere acume e perspicacia. Infatti da un lato si hanno le esigenze e le manovre di Tommaso che da abile politico, cerca di strumentalizzare ai suoi fini anche la santità della sorella, dall’altro Filippa, che accetta la sua condizione di francescana feudataria, in verità atipica, per rendersi, come abbiamo altrove scritto, indipendente da ogni interferenza della sua famiglia, non solo nella sua scelta, ma anche nella guida della nuova fondazione. Infatti, istituzione francescana, la prima femminile nel Regno Meridionale, sotto il badessato di Filippa prosperò ed ottenne numerosi riconoscimenti da parte di papa Gregorio IX.
Filippa, che compì una scelta religiosa originale, seppe incarnare in sé le qualità di Marta e di Maria a tempo stesso. Nella vita contemplativa della clausura, non dimenticò mai il servizio agli altri e cioé ai poveri, al diseredati, ai sofferenti, tracciando, anche per le sue figlie spirituali una via di perfezione da seguire, che ancor oggi si perpetua. Filippa si spense il 16 febbraio 1236, venerata come santa dalla intera comunità equicola, santità confermata da numerosi fatti straordinari e che fu ufficializzata da Pio VII nel 1808, il quale la dichiarò Beata.
Per tornare alle vicende politiche del Cicolano, abbiamo visto che, in pratica Filippo I Mareri era riuscito ad entrare nel pieno possesso dei feudi, da Capradosso a Torre di Taglio, con Girgenti, Marcetelli e Rigatti alla sinistra del Salto.
Alla sua morte gli successero i figli Tommaso e Gentile.
La divisione tra i due fratelli non segue una vera e propria continuità territoriale, anzi, i possessi appaiono dosati, in modo tale da equilibrare quelli dell’uno con quelli dell’altro fratello.
Tommaso eredita Mareri, Girgenti, Vallececa, Rocca dei Salto, la parte superiore di Capradosso, la metà di Barano (oggi Casali Verani) un quarto di Poggio S. Maria, Rigatti, Marcetelli e la metà di Offeio.
Gentile ereditava invece Petrella, Staffoli, Radicaro, Poggio Viano, Gamagna, Rocca Alberisi, Sambuco e Poggiopoponesco.
Come si vede in questa divisione, i Mareri erano divenuti signori di tutti i feudi di Gentile Vetulo nel Cicolano, oltre che di quelli una volta appartenenti a Rainaldo di Sinibaldo.
Comunque Gentile dovette morire senza eredi, dal momento che Tommaso appare presto signore di tutti i feudi.
A questo punto nelle mani di Tommaso Mareri viene a trovarsi un’entità feudale non trascurabile, che, comunque, andava consolidata.
Ma le vicende storiche tumultuose che avrebbero travolto gli Svevi e instaurato nel Regno gli Angioini, non lasciarono a Tommaso il tempo di organizzare i suoi possedimenti.
Ma, abilissimo politico quale egli era, egli si preparava a passare indenne attraverso le inevitabili tempeste politiche che, nella confusione e nelle alterne vicende delle parti in lotta, avrebbero potuto con facilità travolgere chiunque non avesse agito in modo perspicace e lungimirante.
E qui Tommaso fu un artista della politica, uno di quegli uomini capaci di restare, lui e la sua stessa famiglia, comunque a galla sul flutti mutevoli delle glorie politiche ed umane dei personaggi, delle famiglie, degli individui.
Tommaso, inizialmente tentò di restare fuori dalla contesa tra Federico II, suo legittimo signore ed il Papa.
Ma con l’ascesa al soglio pontificio di Innocenzo IV, Tommaso fu costretto dalle circostanze a scegliere e scelse il campo papale.
La scelta, fatta anche dalla città di Rieti, fu senza dubbio preparata di concerto con le altre forze locali.
Infatti la politica accentratrice di Federico II non avrebbe certo favorito le sue aspirazioni né le sue ambizioni. Però nella scelta, Tommaso fu dalla parte vincente, anche se, fra il 1239 ed il 1242 Federico II lo spogliò di tutti i suoi feudi.
Alla morte dell’imperatore, Innocenzo IV, alto sovrano del Regno di Sicilia, lo reinveste di tutti i possessi, aggiungendovi Castelvecchio nello Stato Pontificio .
Ridivenuto legittimo signore di gran parte della regione equicola, Tommaso Mareri si mostra abbastanza attivo, inserendosi nei patti che portarono alcuni castelli alla fondazione della città de L’Aquila, come consigliere regio.
Sembrava tutto ormai consolidato per Tommaso, quando l’ascesa di Manfredi, vindice dei diritti svevi e continuatore della loro politica, rimette tutto in discussione.
Per punire la sua adesione al campo guelfo-papale, Manfredi spoglia il Mareri di tutti i possessi. Ma egli aveva già pensato a parare il prevedibile colpo. Nel campo opposto a quello in cui militava il padre, e cioé quello svevo-ghibellino, militavano i figli di Tommaso, Giovanni e Filippo Il, ai quali Manfredi affidò l’investitura dei feudi tolti al padre.
Fu un abile marchingegno, che permise alla famiglia di passare indenne fra le contese. Giovanni e Filippo Il non divisero tra loro i possessi, ma, forse, per calcoli puramente militari, divisero le loro residenze: Giovanni restò a Mareri, mentre Filippo II si stabilì a Capradosso, da dove, forse, meglio si poteva controllare l’evolversi degli avvenimenti.
Naturalmente la condanna papale colpì i due Mareri Ghibellini.
Alle sanzioni pontificie si sottomise solo Filippo II, mentre Giovanni restò accanitamente a sostenere lo Svevo. Ancora una volta, però i membri della famiglia si erano, astutamente, divisi i campi di adesione. Infatti dalla parte papale-angioina troviamo ancora Tommaso, insieme a suo nipote Francesco, figlio del filosvevo Giovanni, il quale, dopo la battaglia di Benevento non ottenne il perdono di Carlo d’Angiò e dovette subire l’arresto, insieme a Corrado d’Antiochia.
Tommaso I, invece fu reinvestito dei feudi nel Giugno del 1266. L’anno dopo Tommaso scompare e con lui sembrò vacillare tutta l’abile politica che aveva permesso ai Mareri di passare indenni attraverso le tempeste. A Tommaso successero i figli, già menzionati, Filippo II e Giovanni.
Quest’ultimo Passò subito dalla parte di Corradino di Svevia, tanto che fu scomunicato da Clemente IV, il quale affidò all’abate di San Salvatore il compito di custodire Rocca del Salto, Rocca Berarda e Rocca de Vivo.
Filippo Il, dopo essere rimasto in neutrale attesa, seguì le orme del fratello nel momento in cui Corradino entrò nel Cicolano.
Il passaggio dello Svevo nei feudi equicoli fu pacifico e, sicuramente, favorito dai signori locali. Infatti, questa volta la scelta dei Mareri fu netta e, di certo coinvolse nella scelta filo-sveva anche il Monastero di San Pietro.
Sconfitto definitivamente Corradino nei Campi Palentini (battaglia detta di Tagliacozzo) la vendetta di Carlo d’Angiò si abbatte sui Mareri, in modo tale da modificare l’intera geografia politica del territorio.
Staffoli fu raso al suolo e gli abitanti costretti a scendere in basso, Capradosso fu donato a San Salvatore Maggiore, Mareri, affidato ad un capitano regio, fu destinato ad essere infeudato ad altri. Petrella fu tenuta direttamente dal Re e non concessa in feudo a nessuno.
La decisione angioina sembrò irrevocabile, tanto che, proprio quando, nel 1271 i Mareri ottennero l’assoluzione papale da parte di Gregorio X, che aveva di colpo capovolto la politica filo-angioina dei papi, il re affidò Mareri, Rocca del Salto, Marcetelli, Vallebona con Casardita, al milite Guglielmo Accroczamuro.
La concessione di Casardita significò la spogliazione anche del Monastero delle Clarisse, con relativo annullamento della donazione di Vallebona fatta da Tommaso e Gentile Mareri alla sorella Filippa.
Gli anni che seguirono furono anni di lotte, caratterizzati da violenti tentativi dei Mareri di rientrare in possesso dei feudi.
Fino a Poggiopoponesco, in modo tale da controllare Mercato, giungevano i possessi di Stefano Colonna, potente signore di gran parte dell’Alto Cicolano, fedelissimo degli Angioini. Nel contesto di queste lotte, collegate anche con la guerra del Vespro, nella quale fu protagonista anche il citato Corrado d’Antiochia, Mareri fu distrutto.
Sicuramente in questo periodo, come abbiamo dimostrato in altra opera, fu distrutto il borgo murato di Poggio Poponesco, proprio come reazione delle forze ribelli alla distruzione di Mareri e per togliere a Stefano Colonna un valido fortilizio a guardia di un territorio di notevole interesse strategico.
Dei castelli basso equicoli, Petrella si salva dalla distruzione solo perché stabilmente posseduta dalle forze regie.
È, forse, a questo periodo che il formidabile "castrum" comincia ad acquisire una funzione di guida e diviene punto di riferimento politico-strategico nel contesto dei feudi equicoli posti al confine del Regno.
E, sicuramente, si deve proprio a motivazioni strategiche il ritorno nelle grazie angioine dei Mareri. Nel 1282 Rocca Ranerii, Calgialardo, Baccareccia, Pratoianni, Longone, Vallecupola, Colle Cerviano, Lutta Gengalia, Mirandella Offeio, San Martino e Rocca Vittiana, si staccano da San Salvatore Maggiore per unirsi a Rieti.
L’espansione della città comunale nella bassa valle del Salto, creava, di certo problemi strategici ai confini del Regno.
Rocca del Salto veniva a perdere di importanza, specie se a ciò si aggiunge la considerazione che Staffoli era rasa al suolo.
Il confine del Regno andava difeso e garantito da un’entità politica affidabile. Fu per questo che gli Angioini pensarono bene a servirsi di nuovo dei Mareri che nel 1305 rientrano in possesso di Petrella, di Girgenti e di Mareri.
Nel 1325 la famiglia é di nuovo padrona di tutti i feudi aviti, signora di una entità feudale di confine posta tra Rieti, Cittaducale, L’Aquila e San Salvatore Maggiore.
Nel 1301 anche le Clarisse rientrano in possesso di Casardita, portando ben 54 testimoni davanti ai giudici regi residenti a Petrella, per dimostrare come essa avesse cessato di far parte di Vallebona
Lo stato equicolo ormai si é ricostituito e mostrerà nei secoli la sua solidità e la sua individualità.
Petrella diviene il centro politico della nuova entità, mentre il centro economico resta Mercato.
Un periodo di crescita e di serenità si apre per l’intero territorio.
(Testi tratti da "Petrella Salto e la sua Storia" di Henny Romanin).